Siamo al 4 settembre, il giorno di Rousseau, quando i partecipanti al movimento Cinque Stelle sono chiamati ad esprimere la loro opinione sul nascente Governo con il PD.
La questione merita, a mio sommessissimo parere, talune considerazioni. La prima riguarda l’orgoglioso richiamo dei Cinque Stelle alla democrazia diretta, di fatto praticata agli albori dell’organizzazione socio-economica in Paesi con un numero ristrettissimo di abitanti. L’era moderna è stata caratterizzata dalla democrazia rappresentativa proprio per l’estensione delle popolazioni. Comunque, l’esperimento sulla piattaforma Rousseau è stato accolto dai Cinque Stelle come un plebiscito per il loro impegno a costituire un Governo che consentisse il proseguimento della legislatura.
Di fatto, se sono bene informato, hanno votato 50.000 individui, l’80% dei quali si è espresso favorevolmente all’accordo con l’ex nemico Partito Democratico.
Credo che i numeri che precedono diano la corretta dimensione al peso specifico dell’operazione in chiave politica. Peraltro, una seconda domanda che, almeno a me, viene spontanea riguarda la logica secondo la quale prima si fanno gli accordi, impegnandosi con le controparti politiche, e poi si chiede agli iscritti se sono favorevoli alla partecipazione del movimento alla formazione del nuovo Governo. Evidentemente, non so come, ma i vertici del Movimento dovevano essere certi dell’avallo, altrimenti la sconfessione della base sarebbe stata per loro una sciagura politica. La logica, quindi, avrebbe voluto prima la consultazione degli iscritti e poi le trattative per la formazione del Governo, se così non è stato ci sarà una spiegazione che ognuno potrà darsi.
Acquisito il risultato, il presidente del Consiglio incaricato che, ora, è espresso dal Movimento Cinque Stelle e non può essere più considerato sopra le parti, ha stretto i tempi per mettere a punto con gli alleati la formazione della lista dei Ministri e recarsi, poi, al Colle per sciogliere la riserva. Il Presidente della Repubblica potrà così far giurare il Gabinetto e rinviarlo alle Camere, passaggi che saranno svolti presumibilmente dal 5 settembre e che, inevitabilmente, si concluderanno nei giorni successivi dando al Governo la piena operatività.
Mi soffermo ad invitare, chi ancora ha il coraggio di leggermi, a valutare il programma di Governo.
È uno zucchero per le aspettative italiche: meno tasse, più lavoro, interventi sul territorio e finanche per il decoro di Roma, ma un tecnico della programmazione come mi picco di essere non può fare a meno di chiedersi dove sarebbero acquisiti i fondi per realizzare il piano.
Non basta certo il generico impegno alla lotta all’evasione, né il risparmio sulle dotazioni di questo o quel dicastero, circostanza che, spesso, crea più danni che benefici, si pensi al riguardo alla ricerca, alla scuola, alla sanità e via dicendo.
In ogni caso, l’Italia ha un Governo, giacché il presidente incaricato è salito dal Presidente della Repubblica per sciogliere la riserva e sottoporgli la lista dei Ministri, concordata tra il Movimento Cinque Stelle, il PD e le altre forse minoritarie che sostengono il Gabinetto, cosiddetto Conte 2 o Conte bis.
Sulla funzionalità dell’Esecutivo, che avrà senza ombra di dubbio l’approvazione del Parlamento, vedremo nei prossimi mesi, quando sarà alle prese con il bilancio e quanto lo correda.
Claudio Bianchi