Rompo il lungo silenzio, del quale ritengo che nessuno abbia sofferto, per fare qualche considerazione sull’esito delle elezioni in Sicilia.
La prima concerne la conferma dell’esistenza del “non partito di maggioranza” rappresentato, come detto in tantissime occasioni, da chi non va a votare e da chi vota scheda bianca o annullata. Quest’ultimo dato, chissà perché, non viene mai evidenziato, eppure sarebbe importante per la valutazione complessiva del citato «non partito».
La seconda considerazione è dolorosa, poiché riguarda l’indifferenza degli attuali schieramenti politici rispetto al fenomeno astensionista.
Infatti, sono assisi con soddisfazione sui loro voti minoritari, rispetto ai quali chi ne ha presi di più fantastica già sulle proiezioni nazionali per governare.
Proviamo a fare qualche conto: il «vincitore» delle elezioni siciliane ha preso il 39,80% dei voti e cioè di quel 46,76% di elettori che sono andati alle urne: in altri termini il “governatore” rappresenta il 18,61% degli elettori siciliani!!!
È vero che nella nostra storia “patriae” abbiamo avuto un ventennio dominato da un partito che, alle sue origini parlamentari, esprimeva solo il 9%, sia pure in un contesto socio-culturale diverso ed in assenza del suffragio universale, tuttavia è un fatto storico da non trascurare.
I vincitori, ripeto minoritari, di quella competizione elettorale stanno meditando sulla possibilità di fare il «bis» alle elezioni politiche del prossimo anno e già discutono per la “leadership” nella futura compagine governativa. Per interrompere questa deriva è ormai palese che il «non partito» deve diventare protagonista.
Al riguardo, come ho cercato di dire nelle mie più recenti riflessioni, non è sufficiente tornare alle urne per, poi, votare una compagine che si è fin qui fermamente rifiutata, immaginando che nel panorama disponibile sia la meno peggio, occorre, invece, una mobilitazione per costituire un soggetto convincente rispetto alle ragioni del non voto.
Non credo, infatti, che il contesto attuale degli schieramenti politici e delle loro possibili alleanze possa evocare quanto sosteneva Montanelli in merito al “turarsi il naso” per poi votare un determinato partito, ritengo, invece, occorra una svolta con il “non partito” protagonista della stessa. In merito, è necessario avere chiari gli obiettivi, la cui generica enunciazione è semplice, ma proprio per questo è anche lo slogan della quasi totalità dei partiti attuali.
La differenza che si deve sottolineare sta nella concretezza dei programmi, perché se è opinione diffusa che occorre un completo recupero dei valori morali, sociali ed economici non è altrettanto palese la modalità con la quale si ritiene di conseguire tale complesso obiettivo.
Come sa chi ha pazienza di leggermi, io ritengo che occorra chiamare a raccolta gli esponenti del non partito sulla base di un piano pluriennale che, almeno in due legislature, esprima le tappe per conseguire il predetto obiettivo.
Ho già esposto lo schema del piano “de quo” in precedenti “esternazioni”, perciò non mi ripeterò, quello che, invece, desidero sottolineare è la necessità di individuare le trecento, quattrocento persone che, con le loro specifiche capacità professionali, siano disposte ad impegnarsi per la realizzazione del programma in questione.
Le carenze alle quali si è chiamati a porre rimedio prima che sia troppo tardi le ho, sempre dal mio modesto punto di vista, segnalate più volte, cosicché ciascuno che, in coscienza si senta scevro da contaminazioni non in linea con l’obiettivo da conseguire, abbia cioè disertato il voto o lo abbia volutamente espresso con scheda bianca o annullata, e che si ritrovi con un “curriculum” utile alla causa e, soprattutto, abbia voglia di studiare e di impegnarsi per diventare uno statista è necessario che si proponga. Come, mi direte, ed io da aziendalista rispondo segnalandovi, così da poter fare un «inventario» dei disponibili per volontà e professionalità.
Claudio Bianchi