Ho deliberatamente atteso l’esito del voto del 25 maggio u.s. per riprendere queste mie elucubrazioni. Infatti, ho voluto verificare se esiste ancora il «non partito di maggioranza relativa» o se è solo una mia visione. Ebbene, mi sembra che esista, anche se la sua portata effettiva non c’è dato di conoscere.
Vengo alla verifica numerica: se ha votato il 58% e la terza carica della Repubblica giudica ciò un risultato positivo, significa che non ha votato il 42% degli aventi diritto, quindi se il Presidente Renzi ha stravinto con il suo 40% di voti, i numeri ci dicono che il «non partito» è tutt’ora di maggioranza relativa.
In verità, ritengo che lo sia in termini ancora più consistenti, giacché ai non votanti vanno aggiunti tutti coloro che, come me, sono andati al seggio per deporre nell’urna una scheda bianca o annullata. Questo dato, però, non viene comunicato, eppure sarebbe doveroso farlo.
Non voglio fare alcuna esegesi del voto, non è il mio mestiere e non mi interessa ai fini delle considerazioni che vado svolgendo, tuttavia qualche rozza valutazione, proprio per tali considerazioni, vorrei farla.
Il vincitore assoluto, già citato, ha, di fatto, conquistato il 23% degli aventi diritto al voto (58 x 0,4), pescando come dice Lui ed i Suoi sodali, in un elettorato trasversale. È verissimo, ma allora a quali principi si ispira, qualcuno dice che il PD è una bruttissima copia della Democrazia Cristiana, posso condividere, sottolineando che, in ogni caso, quest’ultima intendeva richiamarsi ai principi della dottrina sociale della Chiesa, che non rientrano nelle esternazioni del Leader del PD.
Questi, infatti, preso atto del successo, ha subito dichiarato che occorre andare avanti con le riforme, che ha snocciolato in chiave costituzionale, di riforme della Pubblica Amministrazione, del Fisco, ecc.
Al riguardo, ho espresso più volte le mie perplessità in ordine al riformismo avulso da obiettivi e programmi chiari, i quali non possono essere disgiunti dalla quantificazione dei costi e benefici.
Mentre termino la frase che precede, mi sento nelle orecchie l’accusa di Grillo: ecco un pensionato che non vuole cambiare!
È buffo che, non volendo, ho fatto un’assimilazione tra Renzi e Grillo due contendenti riferibili ad un pensiero unico: riformare per apparire moderni!
Io credo nelle riforme, ma sono convinto che quelle effettive debbano riguardare il “cervello ed il cuore” delle persone, e questi non si innovano o, comunque, si cambiano con le disposizioni di legge.
Mi viene in mente l’Università che, almeno per le materie economico-aziendali, conosco meglio.
Qui la riforma del 3+2 ha fatto uno scempio culturale, è servita a moltiplicare insegnamenti, spesso del tutto inutili, affidati a chi ha teso ad accedervi solo per fregiarsi della “stelletta” universitaria, che, in un Paese provinciale come il nostro, ha spesso un ritorno economico.
Io mi sono battuto per superare l’inconveniente che constatavo nella realtà, ma non sono stato ascoltato. Ciò, come si può vedere, non mi ha fiaccato nella voglia di proporre, tenendo sempre presente l’idea che chi governa lo deve fare nel rispetto delle priorità della gente e realizzando piuttosto che enunciando.
Non Vi ripropongo la mia teoria sulla programmazione e come realizzarla, ma ribadisco che se non si affrontano le priorità infrastrutturali del Paese non si va da nessuna parte in concreto.
Quanto affermo, paradossalmente, trova conferma nella campagna elettorale test’è conclusa.
Salvo le elezioni amministrative nelle località dove sono state espletate, l’obiettivo della campagna elettorale nazionale era il Parlamento Europeo.
Ebbene, qualche candidato ha presentato agli elettori il programma in base al quale avrebbe concretamente svolto la sua attività di parlamentare europeo? Abbiamo ascoltato slogan del tipo rialziamo la testa in Europa, fuori dall’Europa, ma mai un’esplicitazione della strada che si intendeva percorrere per guadagnare l’obiettivo genericamente annunciato.
La verità, come si è dimostrato a spoglio concluso, è che la tornata elettorale in questione è stata per tutti i partiti e, quindi, per i loro leaders e peones, un test sulla tenuta, o meno, del Governo nazionale in carica, ma questa visione è distorta e, molto probabilmente, anche il voto ne ha risentito.
In ogni caso il Presidente del Consiglio, andando a Bruxelles dopo il suo successo elettorale ha dichiarato che avrebbe fatto sentire le istanze italiane su debito ed allentamento dei vincoli.
Lodevole iniziativa, peraltro non nuova giacché perfino il presidente Berlusconi se ne era fatto carico, ma per dare a dette istanze concretezza ed ottenere risultati, occorre che vengano supportate da uno specifico piano, elaborato in termini di mezzi, tempi, insomma di tutto ciò che possa servire a segnare una strada per uscire dalla recessione, come sostengo da sempre in queste mie riflessioni. Peraltro, in previsione del semestre a presidenza italiana della UE, la predetta concretezza sulla situazione nazionale potrebbe essere un test per proposte operative a livello europeo, dove la platea dei paesi componenti evidenzia situazioni fortemente dissimili.
La mia opinione, ma vorrei conoscere quella di chi è ancora così cortese da leggere queste note, è che un partito del «fare», senza precisi riferimenti etici, il Nostro Paese lo ha già dolorosamente sperimentato, motivo per cui occorre scoprire il volto e l’anima di quel non partito al quale continuamente mi richiamo, per verificare se il «paese del silenzio» vuole farsi sentire.
Claudio Bianchi