È ormai da molti mesi che sono silente e forse faccio un favore a tanti, ma ora sento il dovere di scusarmi con chi mi ha seguito perché debbo prendere atto che ho sbagliato le mie analisi e le conseguenti previsioni. Infatti, ho affermato che la recessione nel nostro Paese non era finita, mentre autorevoli voci governative e non hanno dichiarato il contrario. La stessa situazione si coglie in Europa, dove si parla di ripresa … lenta.
Se mettiamo insieme i “fatti”, però, quelle voci ottimistiche mi sembra che vengano smentite. Alludo alle statistiche sulla disoccupazione, alla chiusura di tante aziende medie e piccole ed alle più conclamate crisi di alcune imprese operative sul suolo italiano di proprietà di multinazionali estere.
Se questo, da un lato, mi rinfranca, inducendomi a considerare realistiche le mie analisi, dall’altro mi avvilisce, perché constato che non si affronta la situazione in modo adeguato.
Ma, forse, sto ancora sbagliando, giacché il Presidente del Consiglio Letta è stato sfiduciato, in forma rigorosamente extraparlamentare, proprio quando si accingeva a presentare un nuovo piano per l’Italia.
Gli è subentrato, a valle di “defaticanti” consultazioni, il Sindaco di Firenze, segretario del Partito che aveva espresso il suo predecessore.
L’attivismo del neo Presidente del Consiglio si estrinseca nella promessa di una riforma al mese e si concretizza nell’enunciazione di 10 punti: sicurezza delle scuole; restituzione totale dei debiti della P.A.; dirigenti statali solo a tempo; riduzione a due cifre del cuneo fiscale; nuove norme sul lavoro; modello 730 trasmesso compilato; pacchetto organico sulla giustizia; riforma del Senato Titolo V e Italicum; cittadinanza agli immigrati; confronto sui diritti civili con gli alleati parlamentari.
Ho sentito apprezzamenti quasi unanimi, salvo il dissenso di qualche ferreo oppositore, su l’uomo ed il suo programma.
In merito alla persona non sono in grado e non voglio perciò esprimere giudizi, mentre sul secondo aspetto, chiedendo ancora scusa a chi ha seguito queste mie considerazioni, debbo ripetere il solito ritornello: le enunciazioni sono una cosa, il programma è un’altra.
Questo è fatto di numeri che debbono esprimere le quantità valori afferenti i provvedimenti, le modalità di copertura finanziaria, i tempi di realizzazione.
Non mi pare di avere torto, se si prende atto che il primo provvedimento varato dal “Governo Renzi” ha riguardato il decreto per stanziare i fondi a favore dei Comuni, che, per una profonda prevenzione verso la mia città, è stato battezzato dalla stampa “decreto salva Roma”. Orbene, tale provvedimento comporta spese e la copertura è rimessa ad una addizionale della “TASI” che, in qualche caso, sarà superiore all’IMU abolita (?!) sulla prima casa. È un episodio emblematico e preoccupante, poiché è fuori di un serio programma di legislatura e perpetua la turlupinatura del contribuente.
Infatti, non si vuole dire a quest’ultimo che la promessa di abbassare le imposte non può essere mantenuta, né che la promessa di abolirne una è disattesa, ma gli si propina un prelievo maggiore con una sigla diversa ed, a parer mio, neanche più accattivante.
Chi legge sarà indotto a pensare: eccolo perde il pelo, ma non il vizio di criticare.
Sono vere entrambe le cose, in qualche modo legate al passare degli anni. Sorvolo sulla prima e mi trattengo sulla seconda per affermare che non sono per natura un criticone, ma sono diventato un insofferente assoluto verso chi disinforma o, peggio, mente.
In tale ottica, voglio ora soffermarmi e riflettere su tre dei dieci punti del cosiddetto programma Renzi.
Il primo riguarda i “dirigenti statali solo a tempo”, ho sentito sostenere tale proposta dal Promotore in una trasmissione radiofonica mentre ero in automobile. Il pilastro dell’assunto è che i dirigenti a tempo indeterminato fanno il “bello e cattivo tempo” non rispettando, immagino, le direttive politiche del Ministro.
Osservo, al riguardo e sempre affidandomi alle esperienze vissute, che lo scasso della Pubblica Amministrazione nel nostro Paese è dovuto essenzialmente allo “spoil system”, grazie al quale il ministro entrante ha potuto rimuovere gli apicali sostituendoli con suoi fedeli.
Due i guai conseguenti, che i “rimossi” sono rimasti in servizio costando e non rendendo e, peggio, che il Ministro, spesso mediocre, si è portato un mezzo ed un quarto di mediocre, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di chi vuole guardare e dedurre in modo scevro da pregiudizi.
Il principio che i vertici della PA rimangono ed i politici passano regge in esperienze, come quella Francese, alla quale guardiamo con ammirazione.
Ma posso testimoniare che anche noi in passato abbiamo avuto fior di “Commis” di Stato, in grado di far prevalere l’interesse pubblico anche contrastando desideri ed opinioni del Ministro di turno.
La verità è che le qualità, intese come scienza, conoscenza e … attributi, che servono per far funzionare la macchina statale, come quella delle amministrazioni territoriali, purtroppo, latitano.
La mia conclusione, rispetto al punto di partenza, è che una pessima classe politica ha rovinato la “burocrazia” e non viceversa, per cui rimettendo le nomine dei vertici di quest’ultima alle figure di Rappresentanza politica che abbiamo visto avvicendarsi negli ultimi decenni porta a constatare che lo sfascio amministrativo più che un pericolo è una certezza.
Il secondo punto su cui desidero intrattenermi riguarda le nuove norme sul lavoro, il “Jobs Act”, perché mi sembra fumosità l’indicazione di proporre nuove regole per tutelare chi è escluso dal lavoro e per incentivare la creazione dei posti di lavoro. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, l’incentivazione dovrebbe favorire investimenti esteri in Italia, ma fino ad ora chi ha messo capitali nel Bel Paese lo ha fatto comprandone pezzi, sia pure rappresentati da aziende elitarie che gli imprenditori hanno deciso di cedere monetizzando la propria creatività.
Quanto è lontano Adriano Olivetti, ancorché richiamato in fiction televisive ed in trasmissioni radiofoniche.
Le nostre attrattive, peraltro, sono tante e scarse nello stesso tempo, poiché la natura, i monumenti, l’arte in genere può attrarre, ma è pericoloso cederne il diritto di sfruttamento, così per le infrastrutture, che possono richiamare per la fase costruttiva ed, in qualche settore, nella gestionale successiva, ma anche questo va visto con particolarissima attenzione al preminente interesse prospettico del Paese.
Il terzo aspetto del piano Renzi che intendo considerare riguarda il punto 8: riforma del Senato, Titolo V e Italicum.
Quanto alla riforma del Senato, mi pare di capire che se ne auspica l’abolizione, almeno come contenitore di eletti, per farne una espressione della rappresentanza di un legame con il territorio. Il riferimento al modello tedesco mi pare poco calzante, mentre la nostra Carta Costituzionale ha sempre previsto il Senato eletto “a base regionale” attribuendone i membri in proporzione all’estensione delle regioni, all’epoca solo geografica. Non entro nel merito: non ne sono capace, anche perché non capisco quello che si intende fare concretamente, ma sono spaventato per i soggetti che si agitano intorno alla Costituzione, giudicata tra le migliori del mondo.
Vengo al Titolo V, per dichiararmi d’accordo nel superamento delle Province, non facile sul piano operativo, giacché vanno chiarite le incombenze che debbono passare alle Regioni e quelle che dovranno essere svolte dai Comuni, con correlato passaggio di personale, contratti in corso, mezzi finanziari e fonti di finanziamento. Il percorso è lungo e forse una legislatura non basta.
La razionalizzazione deve ovviamente passare anche per l’accorpamento e l’efficientamento delle strutture per fornire servizi più adeguati ed a minor costo ai cittadini. Ma proprio mentre metto questo punto, apprendo che si è consumato, in chiave decisionista, il pasticcio di una norma che prevede alle scadenze dei consigli provinciali la loro sostituzione con un, se non ho capito male, Presidente. Mi astengo da ogni commento, per ribadire che le riforme non si fanno a colpi di legge ma con uno studio ponderato che solo alla fine può trovare sbocco normativo.
Sull’”Italicum”, quale nuova legge elettorale non so proprio che dire, se non che tale legge non è la priorità di un Paese che ha tutti i parametri del benessere o meglio della sopravvivenza prospettica in caduta libera.
È una constatazione, però, che il Presidente del Consiglio in testa e le forze parlamentari che lo sostengono, ufficialmente o meno, tutti benedetti dal Presidente della Repubblica si sono dedicati subito a tale impegno, varando già un testo in prima lettura alla Camera.
È curioso, al riguardo, che il promotore dell’abolizione del Senato, perché impaccio nell’iter legislativo, consideri un utile strumento la seconda lettura del testo già varato dalla Camera per poterlo “migliorare”!
Provo ora a mantenere una promessa, ringraziando chi mi ha aiutato ed assumendomi io tutte le colpe per le imprecisioni, anche grandissime, espresse nei conti di seguito indicati.
Schema di programmazione
* * *
Oggetto | Costo (€ md) | Tempi di esecuzione | Fonti di finanziamento | |||
Risparmi | Prelievo | Debito | Totale | |||
Patrimonio storico culturale
| 20 | 2014/2023 | 2 | 1 | 17 | 20 |
Territorio
| 30 | Idem | 2 | 3 | 25 | 30 |
Infrastrutture: – ferrovie – rete fluviale – porti – telecomunicazioni
|
50 |
Idem |
2 |
3
|
45 |
50 |
Agricoltura |
7 |
Idem |
/ |
1 |
6 |
7 |
Riconversione dei lavoratori | 5 | Idem | 2 | / | 3 | 5 |
|
112 |
|
8 |
8 |
96 |
112 |
Mi rendo conto che la lettura dei dati che precedono indurrà molti a darmi del pazzo o peggio dell’ignorante, francamente apprezzerei di più la qualifica di utopista.
In vero, la costruzione dei valori di costo sono un’estrapolazione iperbolica di quanto indicato nelle previsioni del bilancio dello Stato. Non credo, però, siano una sopravvalutazione di quanto può occorrere per gli “oggetti” considerati, ma piuttosto una sottovalutazione o, come mi piace pensare, una misura ragionevole. Per esempio, se è vero che per l’intervento sul Colosseo il Gruppo che se ne è assunto l’onere ha stanziato una somma non distante da quella indicata nella tabella per il Patrimonio storico culturale, significa che quest’ultima è evidentemente sottostimata.
Rimane l’impressione del totale: € 112 miliardi sono certamente incompatibili con il criterio del pareggio di bilancio e, quindi, con il rapporto debito/PIL.
La mia opinione, come credo sia chiaro per chi mi legge, è che gli interventi indicati sono irrinunciabili se si vuole veramente e realisticamente rilanciare l’economia del Paese e, quindi, allontanare spettri di scontri sociali favorendo, al contrario, il recupero di valori sociali.
Infatti, lo schema è finalizzato alla ripresa delle attività di impresa su frontiere imprescindibili per salvare il Paese e tale attività è l’unico mezzo che reca al recupero ed allo sviluppo dell’occupazione.
Non credo, infatti, che quest’ultimo obiettivo possa concretizzarsi con la riduzione, ancorché a due cifre, del cuneo fiscale a beneficio di un sistema di imprese piuttosto chiuso in se stesso, anche, è doveroso dirlo, per l’assenza degli stimoli di una politica economica propulsiva.
Il programma schematizzato non casualmente prevede la realizzazione in dieci anni, e cioè nell’arco complessivo di due legislature, il che postula, all’interno del Paese, un Governo convinto e responsabile che abbia un consenso proprio in funzione del programma e della verità che ne è il presupposto. Un tale Esecutivo deve e può convincere l’Unione Europea a lasciarlo fare, consentendo sforamenti sul debito per obiettivi che, in sé, contengono il germe del rientro del debito in termini certi. Infatti, non è irrealistico ipotizzare un interesse sul debito del 3%, il che comporta una quota di ammortamenti costante per 10 anni di € 11 miliardi.
La copertura, difficile per i primi due o tre anni, potrebbe poi essere garantita dall’effetto, opportunamente gestito, degli investimenti.
È lecito, al riguardo, considerare una espansione dell’occupazione tra 5.000 e 7.000 persone, per la creazione di nuove imprese, l’ampliamento produttivo di quelle esistenti, l’arrivo di aziende estere, con obbligo di assumere lavoratori nazionali, ormai riconvertiti alle nuove frontiere del lavoro.
Il che dovrebbe comportare un innalzamento della base imponibile, sia per le imposte sulle persone fisiche che per quelle gravanti sulle imprese. Peraltro, il Fisco avrebbe anche i benefici indotti dell’inevitabile aumento dei consumi generatori di flussi IVA.
Non è troppo azzardato immaginare che il complesso del gettito possa attestarsi, almeno dal terzo anno dell’avvio del programma, intorno ad € 5 miliardi. Inoltre, se ben riqualificato l’utilizzo del patrimonio artistico, culturale e naturale coordinato con l’offerta turistica e la ripresa agricola incentrata su prodotti tipici di qualità, può realisticamente portare nelle casse erariali altri € 6 miliardi.
Si arriverebbe, così, a coprire, almeno dal terzo anno, le previste rate di ammortamento del prestito contratto per realizzare il programma decennale.
Le entrate non considerano i risparmi di costi per gli ammortizzatori fiscali e, soprattutto, per gli interventi a posteriore sui danni idrogeologici e sul patrimonio artistico. Certo, il programma dovrà affrontare aspetti da definire in chiave applicativa, valutandoli finanziariamente proprio per la predisposizione dell’intero programma, che, poi, si dovrà tradurre funzionalmente in piani operativi annuali.
Questi ultimi dovranno essere costantemente monitorati, proprio per verificare se l’operatività va verso l’obiettivo del piano e, nel caso contrario, per adottare tempestivamente le manovre correttive.
Secondo me, ma posso sbagliare, chi si candida o meglio si candiderà a governare deve misurarsi con un programma coraggioso almeno delle dimensioni di quello sopra esposto.
Del resto, il nostro attuale Presidente del Consiglio ha ottenuto, riportano i giornali, il placet della Cancelliera tedesca su enunciazioni, seguite da garanzie verbali, in ordine al mantenimento dei conti in ordine, sia pure con uno “sfraso” temporale.
La predetta Cancelliera pare, sempre secondo i media, sia uscita favorevolmente colpita dal programma di riforme e questo è un capitolo ripreso da vari osservatori con particolare enfasi.
Sento che le riforme dovrebbero scuotere il Paese dal suo torpore e lanciarlo verso la ripresa.
Non voglio, sarebbe di cattivo gusto, ripetere quanto già osservato commentando alcuni punti del “decalogo renziano”, ma non riesco a trattenermi dall’affermare per l’ennesima volta che le riforme nascono dal pensiero e dai valori che lo supportano e che, pragmaticamente, si debbono tradurre in un programma serio di investimenti, tali da riparare al colposo letargo pluridecennale. Mi auguro, al riguardo, che non si ripeta, allo sciogliersi di neve e ghiacci, il dramma di fiumi e torrenti che trascinarono cose e persone, facendo gridare di sdegno i soliti ben pensanti e di invocare la condizione di calamità naturale da parte di sindaci e governatori.
Aspetto le osservazioni di chi avrà la pazienza di leggere queste pagine, per verificare l’opportunità di un approfondimento dei vari temi in un incontro.
Claudio Bianchi