Siamo alla metà di novembre e la variabilità del tempo mantiene i suoi effetti negativi, che si sono esasperati negli ultimi giorni recando gravi danni a varie zone del nostro Paese, che ha anche dovuto contare vittime.
Direi che non c’è niente di nuovo, giacché non si investe nulla per le infrastrutture che, nel caso di specie, possono identificarsi nell’esigenza del risanamento idrogeologico, mentre si assiste alla richiesta di calamità naturale, con conseguente contingente intervento a posteriori. Questo è posto in essere dal Governo centrale, il quale dovendo mantenere i saldi di bilancio invariati, taglia su quanto è ancora rimasto nel “fondo del barile” o accentua qualche balzello.
Per dirla tutta, essendo noi nell’Unione Europea, c’è la possibilità di accedere per tali eventualità a fondi comunitari, peccato, però, che questi non si sono ancora sbloccati per far fronte alla pregressa calamità che ha colpito l’Emilia. Manca, comunque, poco alla soluzione, a dimostrazione del peso italiano nell’Unione Europea!
Se seguito ad apparire pessimista, come mi hanno fatto carinamente rilevare alcuni amici – lettori, è certamente colpa della mia interpretazione della realtà socio-economica, ma non mi pare che la stessa lasci spazio ad un ottimismo naturale, spontaneo, insomma veritiero.
Cercherò, comunque, di migliorarmi e provo a farlo analizzando due importantissimi eventi a cavallo tra la fine di ottobre e la prima decade di questo mese, di cui uno nazionale e l’altro estero.
Il primo riguarda le elezioni regionali siciliane, sulle quali non mi intrattengo in relazione ai vincitori, bensì per riflettere sulla percentuale di astenuti.
Se questi sono il 53% ed, a quanto pare, si conta il 2% di schede bianche o nulle, il dato significativo è che la maggioranza dei siciliani non ha apprezzato l’offerta politica dei candidati.
La circostanza che la percentuale di votanti del 47% si confronti con un passato che misura dati del 90%, potrebbe esprimere, secondo me, l’inizio di un’inversione di tendenza, la quale potrebbe indicare crescita di consapevolezza democratica. Alludo al voto di scambio, probabilmente presente quando l’afflusso alle urne era estremamente anomalo rispetto alle tendenze delle varie democrazie europee, molto probabilmente assente quando i votanti rientrano nel numero tipico delle ricordate democrazie.
Questa, se la mia chiave di lettura è corretta, è una buona, anzi un’ottima notizia, soprattutto perché il sussulto di ribellione viene da una Regione con antropologici problemi di convivenza con la criminalità organizzata.
Il test sulla contaminazione di tale positività all’intero territorio nazionale sarà, appunto, la tornata elettorale per il rinnovo (speriamo!) del Parlamento.
L’altro versante sul quale la percentuale dei non votanti in Sicilia mi rende ottimista è il convincimento, espresso in qualche riflessione precedente, sulla possibilità di riscossa di quello che ho definito il «non partito di maggioranza relativa». Questa non è utopia, se pongo mente al fatto che in Francia, per esempio, i cambiamenti si sono realizzati quando i non votanti sono diventati votanti e si è, così, passati dal Gollismo al Socialismo e, poi, a Sarkozy e, quindi, ad Holland.
Rimane il fatto che quel “non partito”, per non essere tentato da derive qualunquiste, deve poter verificare un programma fatto, però, di cifre significative e non di slogan o, comunque, di mere enunciazioni.
Il secondo evento al quale mi riferivo in precedenza riguarda la conferma di Obama a presidente degli USA.
In verità, tale risultato delle elezioni presidenziali statunitensi non mi spinge a moti di ottimismo, né a indicazioni pessimistiche. Il Presidente, come avrebbe dovuto fare il suo avversario se avesse vinto, si dovrà misurare con il «precipizio fiscale», e cioè con l’esigenza di evitare automatiche lievitazioni di imposte e contemporanei tagli al welfare, definendo un compromesso con il Congresso.
Ritengo che ciò accadrà, ma opino anche che il Presidente dovrà concentrarsi sul rilancio dell’economia del suo Paese, verificando come questo si potrà sposare con gli annunci di collaborazione con l’Europa. Intanto, a fine novembre, ha il gravissimo problema mediorientale con la ripresa dell’attività di guerra tra i Palestinesi della Striscia di Gaza ed Israele, che appare oggi “messa in pausa” da una tregua con la mediazione Egiziana, il cui presidente risulta però contestato all’interno del suo Paese con l’accusa di voler accentrare il potere.
L’area, comunque la si voglia esaminare, rimane un gravissimo rischio per la Pace nel mondo, considerando gli interessi di Paesi come la Siria, la cui ribellione di popolo appare messa in crisi dalle armi che, per i fatti ricordati, hanno distratto Israele e gli altri antagonisti del Siriano Bashar al-Assad che ha potuto rifornirsi di armi e riorganizzare al meglio l’offensiva.
Tutto ciò pesa come un macigno sulle scelte di politica estera del presidente Obama e, di riflesso, anche in quella di politica interna, cosicché, a mio parere, non sarà da quella parte che potrà venire l’aiuto al mondo per uscire dalla recessione.
Claudio Bianchi