Mi consento, da Romano, di esordire dicendo «arieccome»! Confesso, come si evince dalla conclusione della mia precedente riflessione, che lo scoramento mi aveva indotto a decidere di smettere di affrontare aspetti che, a me, sembravano e sembrano di primaria importanza per il Paese, ma, evidentemente, non è così per i più.
Di ciò ho conferma anche dal mio minuscolo angolo di osservazione, che mi ha fatto registrare il crollo dei contatti.
Cosa è cambiato per farmi riprendere la penna ed indurmi a seguitare con le mie considerazioni:
due elementi, la nascita del Governo giallo verde e la sollecitazione di qualche amico che, evidentemente, non considera vuote le mie riflessioni.
Il Governo ha consentito al Capo dello Stato di poter celebrare la festa della Repubblica con un Esecutivo costituito.
Certo la Repubblica Italiana è nata sulla spinta di dolori, sacrifici, lotte ed ideali ormai se non dimenticati, almeno sopiti nelle generazioni che hanno consentito la nascita del Governo Conte.
Questo è il nome del Presidente del Consiglio, il quale, dopo aver rinunciato al mandato che gli aveva conferito il Presidente della Repubblica, ha accolto il nuovo invito di quest’ultimo a presiedere un Governo figlio di un rinnovato accordo tra Movimento 5 Stelle e Lega.
Qui la mia modesta intelligenza comincia a non capire: nella prima tornata dell’incarico al prof. Conte si era molto discusso in merito a chi spettasse la designazione dei ministri e, mi sembra, che l’«intellighentia» abbia sentenziato che tale onore-onere fosse del Presidente del Consiglio incaricato.
Orbene, nel secondo tempo quest’ultimo arriva al Quirinale con una lista bella e pronta che, opino, i due Partiti di Governo gli hanno fatto avere, probabilmente per via elettronica.
Niente di male nel concreto, ma è legittimo domandarsi se nel prosieguo il Presidente del Consiglio avrà solo il ruolo di portavoce delle due componenti politiche che lo hanno voluto.
La questione non mi sembra senza significato, giacché quelle due componenti hanno espresso in campagna elettorale “slogan” spesso dissonanti. Forse la volontà di governare irrinunciabile per entrambe, ha azzittito le divergenze a beneficio di un denominatore comune, che spero non sia il mero desiderio di comando.
Sempre alla ricerca della coerenza mi viene da fare un passo indietro, quando qualcuno alzava la voce contro i “volta gabbana” che presi i voti con un simbolo passavano poi sotto altri vessilli. La lega, se non sbaglio, ha preso i voti con la coalizione di centrodestra, ha poi sottolineato, all’esito del risultato elettorale del 4 marzo scorso, che a tale coalizione, quali vincitrice della contesa elettorale, spettasse di governare il Paese. Quindi, coerenza con l’opposizione ai Cinquestelle avversari in campagna elettorale e poi primo partito post elezioni. In seguito, però, la Lega si è avvicinata ai Cinquestelle abbandonando il campo dove aveva preso i voti, per raggiungere l’obiettivo di governare.
Si tratta di un atteggiamento da “volta gabbana” oppure no?
Secondo me sì, ma, come sempre, si guarda alla pagliuzza nell’occhio dell’altro dimenticando la trave che è nel proprio.
È un fatto che il desiderio di arrivare al Governo, “per portare un vento nuovo”, deve avere agito come un lenimento per le ferite da contrasto, tant’è che si è giunti al ripescaggio del prof Conte. Il Governo che quest’ultimo presiede è ormai nella pienezza dei poteri avendo ottenuto la fiducia del Senato e della Camera.
Il programma di governo sul quale è stata chiesta la fiducia ricalca, e non poteva essere altrimenti, il “contratto” stipulato dai due partiti oggi di governo. A proposito ci si aspettava un Esecutivo politico e ce ne troviamo uno con nove membri, tra cui il presidente del Consiglio, non eletti! Alla faccia delle sperticate critiche ai Governi dei tecnici, avanzate pure dalle due componenti oggi governative.
Vorrei provare a scorrere i punti programmatici indicati dal Presidente del Consiglio, ma prima, sono stimolato da un’assonanza tra la seguente affermazione del prof. Conte ed un’altra di cui dirò.
Il Premier, lanciandosi nell’elogio al “populismo” ha detto «se ciò significa l’attitudine ad ascoltare i bisogni della gente e dell’essere antisistema, se vuole dire rimuovere le incrostazioni e le storture del vecchio sistema» io sono populista.
La nostra storia, troppo spesso ignorata, ci riporta a qualcun altro che, spavaldamente, dichiarava di assumersi in toto la responsabilità per quanto gli veniva attribuito, ma lui disponeva effettivamente, mentre l’attuale è referente dei suoi due danti causa.
Provo, ora, a passare in rassegna i punti salienti del discorso programmatico esposto dal Premier alle Camere.
- debito pubblico, dichiara che è pienamente sostenibile, ma ne deve essere perseguita la riduzione in una prospettiva di crescita economica.
Mi esalto poiché è un’intonazione Keynesiana, che transita, inevitabilmente, attraverso il “deficit spending”. Ciò postula, come ho tante volte ripetuto, un programma di cinque-dieci anni che, partendo dagli obiettivi, individui investimenti e fonti di finanziamento, mostrando l’effetto moltiplicativo in termini economici e sociali e dando testimonianza del puntuale servizio del debito contratto e della riduzione dell’indebitamento pubblico nel suo complesso. Allego, alla fine di questo scritto un esempio terra, terra che avevo già esposto nella mia considerazione dell’8 aprile 2014.
- “Flat tax”, una riforma fiscale caratterizzata dall’introduzione di aliquote fisse, con sistema di deduzioni per garantirne la progressività delle imposte: Bravo! Sottintende una riduzione del carico fiscale e intende recuperare la progressività, per non andare solo incontro ai più facoltosi, attraverso il sistema delle deduzioni. L’idea di ridurre il gettito fiscale in presenza di un Paese che sta letteralmente sprofondando è illogica. Poiché per fronteggiare gli investimenti che servono per consentirci di utilizzare, come dice uno dei due vice premier, il nostro petrolio, e cioè l’attrattiva turistica, occorrono ingenti fonti di finanziamento, tant’è che, come visto nel punto a), ci si richiama al deficit spending e cioè al massiccio ricorso all’indebitamento. In conclusione delle due l’una: non si fanno gli investimenti, si tagliano le spese e si riduce il gettito fiscale, oppure si realizzano i primi ma non si opera sulla riduzione fiscale.
L’idea di recuperare fonti con i tagli alle auto blu, ai vitalizi è certamente commendevole ma non è da tali misure che si ricava quanto serve per rilanciare il Paese.
- giustizia: il cambiamento è nel renderla rapida ed efficiente e dalla parte dei cittadini con nuovi strumenti come il potenziamento della legittima difesa.
Qui c’è da rabbrividire. L’intento lodevole di rendere la giustizia rapida ed efficiente non si consegue con le mere enunciazioni, ma con una normativa che obblighi i giudici ad essere in ufficio cinque giorni alla settimana (9-13), con due ritorni pomeridiani (16-19) e l’obbligo di tenere udienza tutta la mattina per svuotare il proprio ruolo mensile. Quanto alla legittima difesa, ritengo non si debba spingere alla nefasta imitazione di quanto esiste negli USA, mentre è auspicabile un approfondimento sull’organizzazione ed il ruolo delle forze dell’ordine.
- corruzione: sarà combattuta con metodi innovativi, saranno aumentate le pene per i reati contro la P.A. con l’introduzione del daspo per corrotti e corruttori.
Bene l’enunciazione, ma manca la diagnosi da cui può discendere la prognosi corretta. Al riguardo, occorre avere il coraggio di dire che siamo quasi sul podio dei Paesi con più alto grado di corruzione. Quest’ultima sembra ormai endemica essendo presente nella liturgia della piccola evasione fiscale quotidiana fino al sofisticato agire dell’abile manovratore di appalti miliardari. Ma dove risiede la causa di ciò? A mio parere nella perdita dei valori morali, che induce ad insegnare anche in famiglia a «farsi furbi», piuttosto che a crescere onesti. L’insegnamento è intimamente legato all’esempio che è palesemente deteriore.
È mia opinione che il recupero del Paese deve proprio cominciare dalla questione valoriale, con l’impegno nella famiglia e nella scuola.
- scuola: le nostre scuole e università sono in grado di formare eccellenze assolute in tutti settori ma non di mantenerle nel nostro Paese.
Da vecchio Professore universitario, o, come mi è stato suggerito, da «diversamente giovane» prof., espressione probabilmente più adatta considerando l’età del Professore Ministro per forza, non mi sento di condividere l’assunto da Premier.
A mio parere noi avevamo una scuola prestigiosa a tutti i livelli, poiché finalizzata alla formazione, poi, in anni più recenti, abbiamo cambiato il nostro modello passando dalla scuola che forma alla scuola che informa, imitando male ed in un contesto diverso l’esempio anglosassone. Questo è stato favorito dal nostro provincialismo e dal peggioramento della classe insegnante. Quanto al primo aspetto, è sotto gli occhi di tutti l’esibizione di idiomi diversi dall’italiano ed il proliferale di corsi universitari in lingue estere, quasi sempre espressi in slides prive di approfondimento del sottostante. Il secondo è più complesso e delicato, poiché muove, a mio parere, da una scelta dell’insegnamento, a livello scuola media, per avere maggior tempo libero ed, a livello universitario, per fregiarsi di un titolo da spendere per carriere diverse.
L’insegnamento, per chi ci crede e ci si dedica è un impegno gravosissimo che va ben oltre le ore di aula. A tutti i livelli richiede studio, ricerca e sperimentazione, che non sono espressi, per gli universitari, solo in titoli più o meno accattivanti e possibilmente non italiano, di scritti su riviste, anche esse più o meno prestigiose, ma nel contenuto autentico, cioè concettuale, del lavoro. Tutto questo mi pare scomparso e così, la “buona scuola” che è fatta da buoni insegnanti si è progressivamente disciolta.
Non abbiamo più “appeal” è vero ma le cause sono quelle prima sintetizzate, ci sono cervelli in fuga, su questo sarei prudente perché se abbiamo il coraggio di guardarci intorno anche nella vita quotidiana, dobbiamo tristemente dire che di intelligenze fulgide non c’è grande produzione.
Il ricercatore che all’estero ha trovato un posto di lavoro ci rimane perché è soddisfatto, quello che si è affermato diventato un’eccellenza, se vuole tornare in Italia ci torna e con soddisfazione, se non sempre accademica sicuramente economica.
In conclusione, un piano per la scuola va concepito come una rifondazione, la quale deve essere basata su di una piattaforma il cui contenuto principale deve essere l’etica.
Premesso che per attuare una siffatta riforma occorre tempo, materiale umano di elevata caratura e mezzi finanziari, mi rendo conto che il mio assunto sarà liquidato con sufficienza, se benevolo, immaginando che sistemando i precari, inserendo un po’ di inglese e qualche corso tenuto in lingua straniera si tornerà ai vecchi fasti. Purtroppo non è così!
- immigrati: ove non ricorrono i presupposti di legge per la permanenza dei migranti ci adopereremo al fine di rendere effettive le procedure di rimpatrio. Chiederemo con forza il superamento del Regolamento di Dublino per realizzare sistemi automatici di ricollocamento obbligatorio dei richiedenti asilo.
Il problema è serio e seguita ad interessare l’Italia per la sua collocazione geografica, rispetto a chi scappa da guerre e fame, ma la soluzione non sta nei rimpatri nei luoghi delle fughe. Il richiamo al ricollocamento è inutile quando gli interlocutori non vogliono sentire. Invece di conflitti verbali tra europei, sarebbe necessario il coraggio di chiedere a chi è il primo responsabile di tali disgrazie, e cioè agli Stati Uniti d’America, di intervenire in accoglienza e, soprattutto nel ricostruire in Medio Oriente, come in Africa, condizioni di vita accettabili per coloro che sono stati costretti a fuggire. Questa chiamata in causa, infatti, è molto ma molto più importante del blaterare europeo per i dazi USA.
Il Ministro dell’Interno co-vice Premier, tuona sul tema immigrati, immaginando aree di «parcheggio» dalle quali gli immigrati non potranno uscire per «far danni» nelle città.
È sicuro che questo atteggiamento gli farà guadagnare voti nelle amministrative del dieci giugno, ma il problema migranti non transita per queste pseudosoluzioni.
I punti programmatici proseguono con la medesima caratteristica dell’effetto annuncio, ma senza alcun serio piano che ne supporti la fattibilità. Ritengo, perciò di non proseguire nell’analisi specifica preferendo soffermarmi su due considerazioni più generali.
La prima riguarda un’iniziativa da me condivisa, di un caro amico, il quale sentendo il dovere di reagire al degrado morale e sociale del Paese ha immaginato un «manifesto dei valoristi», cioè di chi crede nei valori che, con Santo Giovanni Paolo II, potremmo definire propri del comportamento «bonum honestum».
La seconda discende dalla precedente e riguarda la fiducia che il mio amico e io riponiamo nei nostri concittadini. Egli sostiene che il messaggio contenuto nel citato manifesto, sarebbe accolto dai molti che attendono una proposta nuova fondata sui valori con la V maiuscola.
Io, invece, sono scettico sulla base di un pragmatismo che mi deriva da decenni di osservazione empirica.
Al riguardo, prendo atto che 15/17 milioni di italiani con il loro voto hanno dato vita alla maggioranza che esprime l’attuale Governo, il quale racconta tra le altre, le cose criticate in precedenza. Peraltro, ho letto qualche giorno fa che i sondaggi esprimono un apprezzamento del 58 per cento per l’attuale Governo, vedremo l’esito delle amministrative del 10 giugno se confermeranno la predilezione per chi ora comanda.
Così mi torna lo scoramento, che si accentua quando assisto allo scempio documentato in televisione di un Paese che sta letteralmente sprofondando e per il quale non si prevedono interventi idrogeologici né di altro genere per recuperare il gap profondo che l’Italia ha nelle infrastrutture. Concludo riproponendo, come anticipato, la mia interpretazione di programmazione:
Schema di programmazione*
* * *
Oggetto | Costo (€ md) | Tempi di esecuzione | Fonti di finanziamento | |||
Risparmi | Prelievo | Debito | Totale | |||
Patrimonio storico culturale | 20 | 2014/2023 | 2 | 1 | 17 | 20 |
Territorio |
30 |
Idem |
2 |
3 |
25 |
30 |
Infrastrutture: – ferrovie – rete fluviale – porti – telecomunicazioni |
50 |
Idem |
2 |
3
|
45 |
50 |
Agricoltura |
7 |
Idem |
/ |
1 |
6 |
7 |
Riconversione dei lavoratori | 5 | Idem | 2 | / | 3 | 5 |
|
112
|
|
8 |
8 |
96 |
112 |
*Tratto dalle “considerazioni” n. 13 dell’8 aprile 2014, alle quali rinvio per una migliore comprensione dei contenuti.
Claudio Bianchi