Il secondo mese del nuovo anno, ha già consumato metà dei suoi giorni, ma non si osserva, sul piano nazionale, nulla di nuovo. Prosegue la diatriba elettorale tra i soliti gruppi, neanche tanto coesi tra loro, i quali sembrano avere un solo obiettivo: intercettare alle prossime elezioni il quaranta per cento dei voti per assicurarsi il premio di maggioranza e governare senza opposizione.
Purtroppo, se il «non partito…», che ha stravolto nel voto referendario i piani del partito al Governo, tornerà ad essere il «non partito», gli effetti di quel risultato saranno perduti.
Al riguardo, sorgono immediate due considerazioni: i partiti che nel referendum hanno propagandato il no, attribuendosi il merito del risultato elettorale, cosa che – come già osservato – non è vera, si aspettano di conseguire il ricordato traguardo del quaranta per cento; quelli che, al contrario, hanno sponsorizzato il SI immaginano di conseguire il medesimo risultato fidando sullo zoccolo duro dei votanti fedeli.
È evidente che il «non partito» non si riconosce in tali schieramenti e, quindi, si asterrà dal voto nelle forme che ha seguito anche nel passato: non va alle urne; depone scheda bianca o annullata. Affinché si manifesti ha bisogno di un obiettivo, come è accaduto per il referendum, ma nel caso delle prossime votazioni questo va chiarito e va anche definito il “mezzo” per conseguirlo.
L’obiettivo è quello della rinascita morale, sociale ed economica del Paese; il mezzo è un soggetto credibile che sappia e voglia proporsi per conseguire quell’obiettivo.
Tale soggetto, purtroppo, non c’è e non si configura nemmeno nei tentativi più o meno scissionisti che alimentano diatribe interne ai partiti esistenti, né nelle iniziative volte al recupero di modelli ormai superati.
Il soggetto al quale penso dovrebbe sorgere dalla volontà di quelle trecento persone, esperte nei vari settori dove occorre intervenire per recuperare il Paese, le quali debbono anche avere l’umiltà di studiare con impegno per poter ricoprire in modo adeguato un ruolo politico. Questo, infatti, deve essere svolto, lo dico senza retorica, come servizio agli elettori, i quali debbono, perciò, conoscere lo specifico obiettivo che l’eletto si propone, i tempi ed i modi per conseguirlo.
Le persone che volessero sposare la predetta causa, debbono essere innanzitutto portatori di «etica», questa deve esprimere il loro DNA o, se si preferisce, l’abito mentale di cui non si possono o meglio non si vogliono disfare mai, informando sempre il loro pensare ed il loro agire alla logica del «bonum honestum».
Persone con tali caratteristiche hanno anche la volontà di studiare per diventare degli statisti, razza che appare ormai estinta nel nostro Paese, ma che può rinascere con soggetti come quelli indicati. Questi, però, debbono anche possedere gli “skill” professionali per dirigere i vari comparti nei quali si configura l’opera necessaria a raggiungere il citato obiettivo della rinascita morale, sociale ed economica del Paese.
Il che vuol dire, in pratica, ogni aspetto dello scibile, dalla capacità di educare gli educatori, all’insegnamento in ogni ordine e grado dalle elementari all’Università ed oltre, alla conoscenza più profonda per intervenire sul territorio e recuperare il disastro idrogeologico in cui è ridotto, alla capacità di ricostruire nelle zone dove i sismi hanno colpito in modo da salvaguardare le radici di quei luoghi ma anche per dare sicurezza che i nuovi insediamenti saranno effettivamente a prova di terremoto, alle conoscenze necessarie per mettere in sicurezza il patrimonio artistico e storico del nostro Paese. Non dimentico l’agricoltura, che pare cominci ad interessare i giovani, e sottolineo che tutte le predette imprescindibili attività debbono essere pianificate e gestite con tempi e mezzi adeguati.
Il programma da sottoporre al «non partito» ed, ovviamente, a tutti coloro che vogliono veramente una svolta, deve essere realistico. Ciò significa che deve abbracciare un orizzonte di almeno dieci anni, due legislature, muovendo in parallelo dalle urgenze, quali gli interventi a favore delle zone terremotate, a quelli strutturali necessari per non pregiudicare definitivamente il patrimonio del Paese.
L’occupazione, peraltro, non può essere recuperata con palliativi, tipo gli scarichi contributivi e fiscali a chi assume o, meglio, a chi converte i contratti degli occupati da precari in stabili, bensì accrescendo la domanda di lavoro di imprese e gruppi interessati ai nuovi lavori ai quali ho fatto cenno. Questo, come ho detto in altre occasioni, deve essere il volano della ripresa alimentando i flussi finanziari necessari, da un lato, al rilancio del welfare e, dall’altro, a partecipare al servizio del prestito al quale occorre inevitabilmente fare ricorso per poter realizzare il citato piano.
L’indebitamento pubblico è sicuramente una nota dolente di grande attualità in questi giorni, dove le Autorità italiane reclamano elasticità sul punto, mentre da Bruxelles si minacciano dichiarazioni di infrazioni se ci fosse lo sforamento rispetto ai termini del cosiddetto patto di stabilità. La richiesta del nostro Governo è contingente, limitata agli interventi per il dopo (?!) terremoto e questo mostra, a mio sommesso avviso, un Esecutivo che non ha visione completa dei problemi del Paese, ma domanda comprensione per qualche cosa che non poteva prevedere.
L’atteggiamento non mi sembra foriero di buoni risultati, poiché lascia non risolti i problemi strutturali del Paese, mentre è probabile che ci condanni, comunque, ad una procedura di infrazione per aver «tirato» di poco una «coperta corta».
Un piano organico che abbia nel debito un aspetto anche importante del suo finanziamento, ma preveda sviluppo occupazionale, nuove imprese in campo e, quindi, un gettito fiscale adeguato al servizio del prestito e l’avvio del moltiplicatore economico per un “new deal italiano”, convincerebbe di più i vertici europei ai fini della concessione della proroga per il recupero del rapporto PIL e debito. Se così non fosse, si dovrà prendere atto dell’“Europa a due velocità”, di cui sta tornando a parlare con vigoroso impegno la Cancelliera Tedesca. Potremo anche andare in serie B ma con un obiettivo ed una squadra in grado di tornare in A e per di più al top nei tempi, magari non brevi, previsti.
Gli elettori sapranno giudicare i risultati che verranno comunicati loro senza falsità o, comunque, edulcorazioni, da media lasciati liberi di esprimersi.
Una politica economica espansiva non presenta allo “start” benefici, poiché non può attivarsi il taglio delle imposte, che è cosa diversa della redistribuzione delle stesse, mentre è richiesta ai cittadini la sottoscrizione del debito pubblico, onde mantenere, per quanto possibile, nel circuito nazionale il flusso degli interessi passivi corrisposti per lo stesso.
Del resto, se il «non partito…» al quale mi sono costantemente rivolto ha snobbato direttamente o indirettamente le urne negli ultimi quindici, venti anni lo ha fatto anche perché disgustato dalle falsità, quindi si attende onestà intellettuale dal soggetto al quale dare fiducia.
Ciò significa che lo stesso deve programmare ed operare per il bene del Paese, e ciò può anche indicare comportamenti sgraditi a qualcuno.
Per esempio, non è detto che sia corretto un provvedimento di passaggio nei ruoli della scuola di tutto l’esercito del precariato, perché se una delle migliori scuole del mondo è oggi ridotta in condizioni qualitative miserande, ci sarà anche qualche responsabilità di chi è salito sul treno della scuola considerandola l’ultima spiaggia per avere un’occupazione. Detto ciò con molta chiarezza, il tema dei precari nell’istruzione va affrontato sottoponendo gli stessi ad opportuni esami per valutarne l’effettiva idoneità, secondo il grado scolastico in cui vorrebbero essere occupati.
Ho proposto un esempio a me, vecchio insegnante, più vicino, per sottolineare che lo stesso principio della programmazione comporta un indirizzo delle attività finalizzate all’obiettivo che ha ispirato il piano, ma è inevitabile che quell’obiettivo non faccia felice tutti, è importante, però, che sia coerente con il “bene comune” che il programma vuole conseguire. L’aggettivo comune si riferisce alla «più gran parte», la quale può anche divenire totalità. Ma che, almeno nel “durante”, esclude chi risulta già agevolato e per questo è chiamato a rinunciare a qualche prerogativa, in funzione del miglior conseguimento possibile del bene per la maggioranza dei cittadini.
Tale peculiarità ritengo sia la causa dell’allergia che nel nostro Paese si è sempre manifestata nei confronti della programmazione. Infatti, colui che mira solo ad essere eletto non vuole scontentare nessuno, perciò preferisce il “tira a campare” piuttosto che un’azione programmata verso un obiettivo che, come detto, può non recare gioia a tutti e, quindi, aliena elettori.
Il soggetto che in queste pagine intendo delineare deve essere diverso, deve anche far capire e, soprattutto, dimostrare con i fatti che il sacrificato di oggi sarà il beneficato di domani.
Certo il compito è arduo, anche perché è nuovo o per lo meno dissimile da quanto propongono gli attuali contendenti alle prossime elezioni; non casualmente, alcuni vogliono elezioni subito, altri in coincidenza con la scadenza naturale della legislatura, mentre altri ancora appaiono attendisti-possibilisti.
La gestazione dell’invocato soggetto che, almeno io, ritengo atteso dal «non partito…» è certamente lunga, basti pensare alla formulazione di un piano di indirizzo che affronti tutti i problemi del Paese o, almeno, quelli irrinunciabili per la sua resurrezione.
Al riguardo, la bozza di programma che adombrai nelle mie considerazioni di aprile 2014 non è più attuale alla luce del successivo decadimento ed ai pericoli che l’interpretazione dello stesso ha consentito di individuare. Non è più adeguato l’importo previsto per gli investimenti, che deve essere di gran lunga aumentato, riconsiderando, di conseguenza, le fonti di finanziamento, i tempi e le modalità per concludere il ciclo virtuoso che con il piano si intende avviare.
La definizione del nuovo programma è un impegno gravosissimo, che può, comunque, essere assunto con un adeguato team, il quale collabori dedicando all’obiettivo capacità e tempo, anche perché chi dovesse fare del piano la propria linea di indirizzo operativo, deve anche essere in grado di presentarlo all’unione Europea convincendola che con la realizzazione dello stesso, anche se fossimo stati nel frattempo retrocessi in serie B, avremmo la possibilità di una immediata risalita nella serie superiore per rimanerci.
In tale contesto, non può essere trascurato il problema dell’Euro e della permanenza nell’Unione Europea, che pure agita gli schieramenti politici nazionali ed esteri.
La mia personale opinione è che, se siamo entrati male nella moneta unica pagando al cambio definito un caro prezzo, uscire ora sarebbe un errore ancora più grave, soprattutto di fronte ad una politica di “deficit spending” come quella proposta.
Circa la permanenza nell’Unione, penso sia un dovere per un Paese fondatore, quello che va modificato è il ruolo da ricoprire nell’ambito decisorio, affinché si possa far ritrovare al Vecchio Continente una posizione di rilievo, rispetto alle inevitabili trasformazioni geo-politiche attuali e, soprattutto, prospettiche.