Ha vinto il NO: ma l’analisi della vittoria che leggo, vedo in televisione, sento alla radio non mi convince. Infatti, io credo, ma sono curioso di sentire l’opinione di chi segue queste mie note, che il risultato debba essere attribuito a quel «non partito di maggioranza» da me sempre evocato.
Il “no” ha prevalso perché gli esponenti del citato «non partito…» sono tornati a farsi sentire, esprimendo con chiarezza il proprio voto sul referendum costituzionale e sull’implicito giudizio sul Governo, che lo stesso Premier ha voluto collegare al voto.
Ma gli esponenti del «non partito…» sono coloro che non hanno votato o hanno deposto nell’urna una scheda bianca o annullata negli ultimi quindici/venti anni, perché disgustati o quanto meno contrari alle formazioni politiche che si sono via, via proposte in tale lasso di tempo.
Ne consegue che la vittoria del NO non può essere attribuita alle formazioni politiche che hanno fatto la campagna per il NO e contro il Governo, poiché le stesse, nel loro complesso, rimangono minoritarie rispetto ai fautori del Governo e, quindi, del SI.
Il delta che ha prodotto il risultato è, perciò, inequivocabilmente attribuibile al ritorno alle urne dei delusi, i quali hanno, così, attivato quella catarsi incruente alla quale mi sono in più occasioni riferito.
Gli analisti del voto fanno raffinate esegesi dalle quali emergerebbe il ruolo determinante dei giovani, è possibile che questi siano una componente del «non partito» ma non convince la loro identificazione con gli elettori del movimento cinque stelle. Infatti, quest’ultimo come gli altri «partiti» del no non reggono il confronto dei numeri che hanno portato i votanti «NO» alla quota maggioritaria del 60%.
Se quanto sostengo è corretto, si apre ora l’esigenza di dare ai vincitori autentici un riferimento al quale credere, giacché essi non si riconoscono nelle formazioni politiche presenti, e cioè quelle da loro respinte attraverso la ricordata modalità di non partecipazione alle loro elezioni.
Si tratta di un problema difficile, ma non irrisolvibile, se, come credo e spero, quel “non partito” avverte un sentire comune rivolto al recupero dell’Etica e, partendo da questa, al rilancio del Paese.
Quest’ultimo aspetto deve cominciare dalla ricostruzione delle aree colpite dal terremoto dell’estate e dell’autunno con piani ben definiti nei tempi, nei mezzi e nei modi. Poi la programmazione deve orientarsi nel recupero idrogeologico di tutto il territorio nazionale e nella messa in sicurezza dell’intero patrimonio artistico-culturale del Paese, e cioè della nostra primaria risorsa economica.
Come ho già cercato di esporre in precedenti mie considerazioni, tutto ciò comporta impegno di mezzi finanziari che vanno ricercati anche attraverso il credito. Sarà necessario, al riguardo, che il programma convinca l’Unione Europea, in quanto l’incremento dell’indebitamento sarà riassorbito con la creazione di posti di lavoro e, quindi, del correlato aumento del gettito fiscale.
In merito, non si dovrà ingannare nessuno, chiarendo che le imposte non potranno essere ridotte, ma che il gravame sarà più equamente distribuito. La riduzione, invece sarà possibile quando gli investimenti nel loro complesso daranno i loro frutti.
Ciò postula, lo ripeto, un piano a medio/lungo termine, di cui gli elettori potranno giudicare il primo “step” a conclusione della legislatura in cui prende l’avvio il nuovo corso.
Immaginare una tale iniziativa partendo da zero è utopia, eppure se l’utopia è condivisa potrebbe essere l’unica molla per il cambiamento.
L’idea dell’Associazione potrebbe essere un primo, timido passo, ma occorre contarci per evitare di dar vita al nulla.
È anche necessario stare attenti ad articoli come quello recente del Financial Times, il quale fa balenare l’idea che il voto italiano comporti una minaccia per l’Europa peggiore del brexit. Se è interessante constatare che il giornale è pubblicato in un Paese europeo il quale ha mantenuto la propria valuta fuori dall’Euro e si è ora espresso per uscire dall’Unione Europea, è altrettanto fastidioso constatare come, anche lì veniamo additati quali potenziali procuratori di sconquassi nella finanza mondiale.
Fino ad ora ciò non è avvenuto, ma la speculazione è pronta ad intervenire se qualche scelta autonoma, per esempio del tipo da me prospettato, sarà adottata.
È un rischio che deve essere valutato anche per comprendere come gestirlo, perché la sua gestione è sempre possibile.
Il Presidente della Repubblica, dopo aver congelato per 24 ore le dimissioni dell’attuale Premier, ha iniziato le consultazioni, inevitabilmente con le formazioni politiche attuali che, come ho detto, sono state tutte strapazzate dagli autentici fautori del NO.
Non sono un giurista e, quindi, dico molto sommessamente che sarebbe il caso di affidare all’attuale Premier la gestione del corrente, nonché l’eventuale definizione della legge elettorale, la quale non potrà identificarsi con quella da lui auspicata.
Claudio Bianchi